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Una classe chiamata "Città", una scuola chiamata "Vita"

Sono le 8.45 di un qualsiasi Mercoledì di Gennaio.

Ho percorso la solita strada, con il solito traffico ed il solito sonno.

C’è un bel Sole oggi. È tanto che non sono di turno nel progetto, mi mancano i bambini di “A Ruota Libera” e penso di essere proprio fortunata ad avere una sede di lavoro così.

Dopo essere passata in Tana a prendere il necessario, entro in class…ehm, volevo dire, al Parco!

C’è il solito gruppetto di signori che portano a spasso il cane e, in lontananza, le mamme dei nostri gorillini che giocano insieme a loro. “Sì, sono veramente fortunata” penso. Dove si è mai visto che prima di lasciare i bambini e partire per i ventimila impegni che possono esserci in una giornata, una mamma riesca a giocare, anche solo per 5 minuti, con il proprio figlio? Pura utopia, se non fosse che è una scena che fa parte della nostra routine e che solamente questo breve periodo di stacco mi ha permesso di apprezzare veramente.

Baci alle mamme, raccomandazioni ricevute, ce ne andiamo al nostro tavolo a farci leggere una storia dallo Scienziato.

C’era proprio piaciuta quella del bambino Fernando che si era perso la F e, così, come promesso, Scienzi oggi ce ne ha portata un’altra. Si chiama “I colori delle emozioni”. È proprio carino questo mostro che cambia colore, ce lo guardiamo con curiosità, ci interroghiamo, ridiamo insieme delle cose che ci vengono in mente. C’è chi prova a raccontare la storia sfogliando le pagine, anche se non sa leggere; chi, invece, è impaziente di ascoltarla, chi prova a mischiare i colori toccando il libro con le dita.  

Nel frattempo, però, ecco il Gorillino che ancora non era arrivato; ha portato un sacchetto pieno di attrezzi vari e allora come si fa a non iniziare il momento di gioco libero? Che poi per noi significa, molto spesso: esplorazione, manipolazione, sensorialità, cooperazione e allenamento del pensiero divergente.

E così partono alla ricerca della resina degli alberi, si confrontano, discutono e poi trovano un accordo. Giocano. Cambiano idea. “Andiamo a vedere com’è diventata la Pozza Madre!” e poi “Andiamo a vedere com’è Casa Albero!”. Cambiano ambientazione. Provano emozioni. Affrontano le paure. Conoscono i propri limiti. Affinano le proprie capacità. Compiono piccoli passi verso la propria autonomia. Esplorano. Toccano. Guardano. Ridono. Annusano.

Io li osservo, mi lascio trasportare da questa loro continua ricerca, da questa fame di apprendimento, da questo desiderio di conoscenza. Li osservo e poi li accompagno. Li aiuto a porsi domande, tendo loro la mano quando necessario, mi faccio da parte quando fiera capisco che non hanno bisogno di me, gioisco insieme a loro, gioco insieme a loro, rifletto su come aiutare chi e su cosa nei prossimi giorni. Documento. Appunto nella mia testa idee, spunti, criticità che, inconsciamente, mi suggeriscono.

Nel frattempo, si è fatta ora di merenda; si torna, perciò, alla base, sotto ai nostri cari Lecci, per mangiare. Nel nostro gioco libero e nella nostra maniera, abbiamo già fatto lezione di scienze e di educazione civica; abbiamo già trovato tante domande sulle quali provare a trovare delle risposte ed abbiamo persino trovato la F che Fernando, il bambino del libro, aveva perso! Era a Casa Albero sottoforma di un pezzo di bancale rotto. Chi l’avrebbe mai detto.

Siamo alla merenda, dicevo. Mi raccontano che questo è il mese del “Gorilla filosofo” e che un filosofo è “quello che si chiede i perché ma non su qualsiasi cosa, è uno che si chiede le cose soprattutto sull’essere umano”. Ricordano perfettamente tutte le attività svolte in questo mese e poi, come se niente fosse, ognuno di loro inizia a dire che tipo di Gorilla è: “Io sono un Gorilla esploratore ma anche un po’ inventore!”, “Io sono un Gorilla artista, perché sono un pittore!”, “io sono un Gorilla Musicista” e lo dicono con una naturalezza che mi lascia spiazzata. Non è possibile che ognuno di loro abbia già individuato così chiaramente la propria passione! Sanno perfettamente cosa gli piace, in cosa riescono, da cosa si sentono chiamati, da cosa si sentono presi, che quando chiedono a me che tipo di Gorilla sono mi gira la testa e mi dico che se c’è un lavoro da portare avanti adesso è quello di non spegnere questo fuoco, di mantenerlo acceso e, perché no, aiutare ad accendere anche i fuocherelli che  sono un po’ più nascosti e le cui fiamme hanno bisogno di un po’ più di legna per poter bruciare ardentemente. Che non finiscano con i giramenti di testa come me!

Capita poi, che mentre stiamo parlando, è proprio uno di loro a proporre l’attività di oggi. I bambini sanno, infatti, che dopo merenda siamo noi educatori a proporre un’attività più “didattica” per lavorare sull’intelligenza che stiamo approfondendo nel mese. Oggi, però, non abbiamo avuto il tempo di farlo perché sono stati i gorillini a proporre l’attività, proponendo esattamente la stessa che avevamo in programma di presentargli. O hanno messo delle telecamere in Tana che ci spiano durante le riunioni o siamo in sinergia! Mi piace pensare che quest’ultima opzione sia quella che ha reso questa giornata bella come le altre.

La nostra missione di oggi è quella di intervistare le persone che incontriamo in giro per la città (è così che chiamano il quartiere i gorillini: “città” perché per loro fuori è un mondo grande e tutto da scoprire).

Dopo vari confronti, abbiamo deciso di incentrare la nostra intervista sulle emozioni: vogliamo capire come si sentono le persone oggi.

Andare per le strade di una città grande, frenetica, complessa come Roma, credo sia di una potenza inquantificabile ed incontenibile. I sorrisi delle persone che abbiamo incontrato ne sono la prova.

“Buongiorno! Scusi, stiamo facendo un’intervista: lei come si sente oggi?” ed è un po’ come abbracciare, un po’ come prendersi cura, un po’ come dire che sappiamo di essere in tanti ma molto spesso ci sentiamo soli. L’ho capito dagli occhi che si illuminavano nei passanti nel sentire questa semplicissima domanda, nelle parole delle signore che da lì iniziavano a raccontarsi, nello sciogliersi in mezzo secondo anche delle persone più schive, nella facilità con cui, senza risentimento, anche chi si sentiva triste od arrabbiato è riuscito a dirlo ad un gruppetto di bambini.

E dov’è che abbiamo fatto “scuola” oggi?

Nell’imparare diversi modi di comportamento in base al luogo e alla persona che ho di fronte e a quello che quest’ultima è intenta a fare; nell’apprendere che il mio atteggiamento ha un’influenza sulla risposta delle persone ma che non la determina.

Ci sentivamo in una lezione di scuola anche quando dovevamo rispettare le norme della strada, attraversando sulle strisce pedonali e camminando esclusivamente sul marciapiede.

Con i più grandi poi, è stato bello filosofeggiare sulla filosofia in un processo maieutico che se non siamo finiti a parlare di Socrate è stato solo perché ci siamo completamente immersi nel dialogo. Abbiamo, con loro, anche iniziato a gettare un semino di curiosità rispetto al metodo scientifico, alla statistica e alle sue regole. Ci siamo ritrovati a fare matematica cercando di riportare i risultati della nostra intervista ai genitori che nel frattempo sono già arrivati a ricordarci che la campanella non suonerà ma che, invece, tutte le domande che ci portiamo a casa non smetteranno di risuonare nella nostra testa e ci spingeranno ad andare alla ricerca delle nostre risposte.

Questi i nostri “compiti a casa”, questo il nostro zaino, questa la nostra scuola che per comodità chiamiamo “Città” senza dimenticare mai che il suo vero nome è "Vita". 

Ilaria 1

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